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Arriva il Bail-in: cambiano le regole per gestire le crisi bancarie

Come noto più o meno a tutti il 1° gennaio 2016 entrerà in vigore il c.d. Bail-in (salvataggio dall’interno) che imporrà regole precise sulla gestione delle crisi bancarie affinché queste non gravino (o, se non altro, gravino di meno) sui contribuenti.

Il tran-tran mediatico ha portato la consueta dote di disinformazione e preoccupazione in tutti i correntisti italici. Bisogna innanzitutto precisare che il bail-in non è un intervento voluto dal Legislatore italiano ma si tratta dell’applicazione obbligatoria di una normativa europea (BRRD – Bank Recovery and Resolution Directive).

Il Governo Renzi, a dirla tutta, sta cercando di risolvere prima dell’introduzione della nuova regolamentazione sia i dossier relativi alle Banche in amministrazione straordinaria del Centro Italia (Banca Marche, Carife, Banca dell’Etruria e del Lazio, Carichieti), che da alcune stime potrebbero richiedere risorse per oltre 1,5 miliardi, sia il nodo spinoso della bad bank, i cui negoziati sono ancora in corso con la Commissione Europea.
Su tali temi si paga la mancata tempestività di intervento dei precedenti esecutivi che, seppur in una situazione di tensione sui conti pubblici, sarebbero dovuti intervenire con pubblici denari per sostenere il settore bancario gravato da un monte di crediti deteriorati di quasi 350 miliardi (nel 2008 erano circa 80).

Ma chi e quando sarà chiamato a contribuire a tali salvataggi? Per cominciare bisogna rassicurare i titolari di conti correnti, covered bonds, libretti e certificati di deposito per controvalori inferiori a centomila euro, essi non saranno coinvolti in nessun caso nelle procedure di bail-in ed il fondo interbancario resterà obbligato a garantire tali importi. Saranno invece chiamati a rispondere, secondo una precisa gerarchia, gli azionisti, i possessori di obbligazioni subordinate e di altre obbligazioni e passività assimilabili. Se tali risorse non saranno capienti per risolvere il dissesto saranno attinti ulteriori fondi anche dalle altre passività (conti correnti, etc.), sempre per gli importi eccedenti i centomila Euro.

Vedi anche  Crisi delle banche e l'atavica ignoranza finanziaria degli italiani

In estrema sintesi i piccoli risparmiatori non avranno necessità di verificare la reale affidabilità del proprio istituto. Dovranno invece, al pari di tutti gli altri, riconsiderare la detenzione nel portafoglio titoli (anche di modesto valore) di azioni ed obbligazioni subordinate di banche ed istituti di credito. Questi strumenti, si auspica, dovrebbero veder aumentato il proprio profilo di rischio ai sensi della normativa MiFID per poter essere così veicolati verso investitori più esperti e con una situazione patrimoniale più robusta.
Tale elemento non è ancora stato adeguatamente considerato e potrebbe portare i titolari di rapporti titoli a scoprire troppo tardi la presenza nel proprio portafoglio di strumenti non graditi.

A cura di
Sergio Giommetti

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