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Bail in sul debito sovrano: la ricetta tedesca per far saltare l’Eurozona

No. L’allarme sul bail in non è stato lanciato da uno dei coloriti leader populisti che vanno tanto di moda in Europa, ma da uno dei consiglieri economici più intimi del governo tedesco, Peter Bofinger, membro del cosiddetto Consiglio dei Saggi, il gruppo di cinque economisti che affiancano la Merkel nelle scelte di politica economica.

Quella di Bofinger è stata l’unica voce contraria al progetto elaborato dal Consiglio, e subito sposato da Schäuble, di trasferire agli Stati (al loro debito pubblico) il meccanismo del bail in, lo stesso che ha travolto le nostre quattro banche “toscane”.

Il bail in, letteralmente cauzione interna, è entrato in vigore dal 1° gennaio di quest’anno. È una nuova disciplina bancaria europea che impedisce l’intervento pubblico nel salvataggio delle banche facendo ricadere i costi su azionisti, obbligazionisti, correntisti ed infine su un fondo di garanzia finanziato dalle banche stesse.

Tradotto vuol dire impedire ai governi nazionali di bloccare crisi bancarie che possono travolgere l’intero sistema o anche semplici incolpevoli risparmiatori. Vale la pena ricordare come tra il 2008 e il 2015, prima del bail in, la Germania ha salvato il proprio sistema economico finanziando le proprie banche per un ammontare di circa il 10% del PIL mentre il governo italiano, dopo il bail in, per rimborsare parzialmente qualche centinaio di cittadini finiti nella trappola dei titoli tossici delle “toscane” è stato costretto ad una logorante trattativa con gli organismi europei e ad imbastire un macchinoso processo dagli esiti incerti e strutturalmente parziali.

Il bail in sul debito pubblico

Estendere simile disciplina anche agli Stati significherebbe che in caso di crisi, prima di consentire qualunque salvataggio, pagano i creditori, ovvero chi detiene i titoli di Stato del paese in difficoltà.

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“Il rischio di attacchi speculativi è molto concreto – spiega il consigliere economico del governo tedesco – Se fossi un politico italiano e mi trovassi di fronte a questo rischio di insolvenza vorrei tornare a una divisa nazionale il prima possibile: sarebbe l’unico modo di evitare la bancarotta.”

In tutti i Paesi i principali detentori di titoli di Stato sono le banche. Grazie all’attuale regolamentazione europea tutti i titoli di Stato di tutti i paesi dell’Unione sono considerati egualmente sicuri. L’introduzione del bail In, sottoponendo i titoli al regime di mercato puro, obbligherebbe le banche a dare una misura del rischio ai titoli di Stato presenti nei propri bilanci, misura che alzerebbe i requisiti di capitale per le banche che hanno titoli con rating basso, come quelle italiane.

Come spiega Federico Fubini in un articolo apparso qualche giorno fa sul Corriere della Sera: “per le banche italiane, e il finanziamento del debito pubblico di Roma, l’impatto sarebbe profondo. Sul tavolo c’è l’ipotesi che gli investimenti fatti in titoli di Stato inizino a erodere il capitale delle banche non appena la loro esposizione in debito pubblico del loro Paese supera il 25% del patrimonio. In sostanza, visti gli oltre 400 miliardi di titoli del Tesoro di Roma detenuti, le banche italiane dovrebbero accantonare denaro contro eventuali perdite per circa il 70% del loro portafoglio di titoli di Stato. In alternativa, dovrebbero vendere buoni italiani e magari comprarne di più solidi, per esempio i tedeschi.”

Secondo Bofinger in questo modo Berlino sta seriamente minando la tenuta dell’Unione. L’alternativa sarebbe quella di accettare le implicazioni di un’unione monetaria, alla condivisione dei rischi l’Eurozona dovrebbe affiancare anche la condivisione delle garanzie. Ma in questo modo l’Europa rischierebbe di salvarsi e la cosa pare non stia molto a cuore neanche a Berlino.

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