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Benchmark e società in perdita nel Transfer Pricing

Gli accertamenti da Transfer Pricing comportano un grande vantaggio per l’Amministrazione Finanziaria: non essendo una “scienza esatta”, risulta molto difficile determinare esattamente la correttezza del valore normale, concetto di per sé aleatorio.

Capita spesso nella pratica che le società verificate, sia quelle che hanno predisposto la documentazione secondo i dettami previsti dal Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate datato 29/09/2010 (link), sia quelle che non vi hanno aderito, si trovino disconosciuto i valori identificati.

L’Agenzia dunque, predispone un proprio benchmark, utilizzando parametri del tutto soggettivi ed effettua una ricerca di campioni comparabili rapida, sommaria e spesso imprecisa, basata spesso solo sulla convenienza.
Nella pratica capita dunque spesso di assistere a rettifiche non solo infondate, ma anche eseguite su benchmark metodologicamente errati.

L’Agenzia infatti, spesso, dopo aver individuato un campione di società asseritamente comparabili, ad arte elimina dal benchmark quelle con risultati negativi, che farebbero abbassare il valore mediano e quindi l’importo della rettifica. Questo comportamento è stato sempre giustificato da parte dell’Agenzia adducendo come motivazione la innaturale permanenza sul mercato di una società in perdita.

Le Linee Guida OCSE hanno da sempre smentito la posizione dell’Agenzia, affermando in più punti che il semplice fatto che una società registri delle perdite non è di per sè motivo sufficiente per eliminarla dal benchmark in quanto anche le perdite rappresentano una normale situazione di mercato.

Da ultimo, anche la più recente Giurisprudenza è venuta in soccorso ai contribuenti. La sentenza 1108/46/2016 della CTP di Milano ha infatti stabilito che il rilievo è nullo se non viene considerato il quadro completo e realistico del mercato di riferimento. Vengono citate nelle sentenza le Linee Guida OCSE ed il principio secondo il quale, le perdite non sono sempre indice di una situazione anomala. Inoltre i giudici hanno effermato che le ragioni che portano all’inclusione o esclusione di un comparable non dipendono dai dati finanziari ma dall’analisi funzionale.

Vedi anche  Imu e tasi, chiarimenti dal MEF e critiche dai Commercialisti

Sembra quindi che, seppur lentamente, anche i giudici stiano prendendo coscienza su una materia difficile e soggettiva. Nel frattempo ai contribuenti non resta che “tenere duro” di fronte alle pretese arbitrarie e spesso irrealistiche dell’Amministrazione Finanziaria che rettifica o costruisce benchmark a dir poco fantasiosi.

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