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Dal Festival di Internazionale un monito sulle disuguaglianze

Alle 9 del mattino sentivi per i vicoli l’odore del pane e un brulichio di gente che era lì pronta a godersi una due giorni di prospettiva sul mondo. La sensazione era subito quella di poter svuotare la testa e salire a bordo del missile. Quello del fitto programma giallo, poggiato in ogni angolo della cittadina estense, per pensare. Sì perché il Festival di Internazionale a Ferrara (2/4 ottobre) non è un festival di giornalismo e forse neanche per soli giornalisti. È piuttosto un’occasione ricca – come poche in Italia – per farsi un’idea su temi: politica, innovazione, economia, letteratura, ambiente. Tutto intorno ad una parola chiave “frontiere” che limita – neanche troppo – e racchiude l’evento in una cornice narrativa, diversa per ogni edizione.

Tra il teatro e il castello mentre sceglievi un vinile vintage o un paio di occhiali da sole di seconda mano, c’erano gli italiani Daria Bignardi e Concita De Gregorio, Lagioia e Raimo, Zerocalcare. Ma anche gli stranieri del The Guardian, del Los Angeles Times, de El Paìs. Antropologi, architetti, fumettisti. L’imbarazzo della scelta ad ogni ora per decidere chi e cosa sentire.

Alla fine, dopo la presentazione del libro-provocazione “La politica non serve a niente” di Stefano Feltri e dopo un piatto di cappellacci in brodo sotto i portici, ho recuperato il biglietto per un incontro di taglio economico sociale.
Fa un certo effetto entrare in un teatro, peraltro bellissimo, alle 14 di pomeriggio. Ancor più se devi salire fino al quinto palco per trovare un buco dove sederti. Il tema è di quelli che i giornalisti chiamano “caldi”: “Vecchie e nuove disuguaglianze”. Con l’economista Maurizio Franzini, la scrittrice Michela Murgia e la sociologa Chiara Saraceno.

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Tre punti di vista diversi così come le sedie dove sono seduti su un enorme palco dal pavimento nero, moderato da Roberta Carlini.
Ma chi sono i poveri? E chi i ricchi? E soprattutto quanta distanza il sistema politico italiano ha creato tra gli uni e gli altri?
Tutti concordi sul ritenere che l’indice di povertà assoluta sia cresciuto a dismisura dal 2007 ad oggi. Cioè i poveri veri – secondo l’Istat – sono cresciuti come mai nell’ultimo secolo. E lo hanno fatto quasi con la stessa sfrontatezza dei titoli dei tg “siamo fuori dalla crisi”. Da quando le famiglie hanno dovuto erodere quote (e poi totalità) di risparmi con il pensiero costante di “mantenere” i figli laureati a casa. Con la consolazione di poter fare 80 euro di spesa in più al mese. Ma solo con reddito superiore a certe soglie. Perché in caso contrario resti dove sei.

Perché “non esistono forme minime di garanzia” e la lettura dei dati viene fatta secondo i “bisogni politici del momento”. Per non parlare dei ricchi, quelli veri, che “sono cresciuti non tanto in numero quanto in capacità” spiega Franzini. I calciatori, i manager, la gente del mondo dello spettacolo. Ma chi sono e cosa hanno fatto per essere lì a una distanza spropositata dal resto del Paese? Non si sa. La così detta “forbice” che si allarga fino a restituire una fotografia tragicomica della situazione reale ma soprattutto di quello che dell’Italia si vuol far credere. Dentro se stessa e sui tavoli internazionali. Perché qui, come in Grecia, mancano le forme reali di tutela alla povertà.
Sì, come in Grecia.

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E poi una bellissima provocazione della Murgia. Lei che è capitata in Scandinavia per lavoro e oltre a vedere i parcheggi per i passeggini fuori dai bar, si è fatta raccontare come funziona il sistema vastissimo di servizi garantiti dallo Stato. “Non esistono le eccellenze, esiste un allineamento delle competenze che vengono messe al servizio della collettività”. Una di quelle cose da sgranare gli occhi, per noi italiani ,abituati esclusivamente al modello competitivo. Quale poi? Quello del calciatore? – ndr. E come su fa? Si fa dalla scuola. “Non si assegnano i voti ai singoli ma si da un giudizio complessivo alla classe”. Non esistono forbici di disuguaglianza, esiste un sistema con obiettivi comuni. Nel quale si cedono quote di “eccellenza” (sempre: quale?) perché siano messe al servizio dei servizi. Appunto.

Immaginate che riforma delle menti (da fare un baffo a quella della buona scuola) qui nel belpaese, dove il sistema della competitività aleggia dal primo anno di scuola materna fino alla confusione – ormai inarrestabile – tra capacità di fare politica ed essere leader di un sistema incapace di ripensarsi. Anche a costo di danneggiare la parte migliore di se stesso.
E – per chiudere – nell’atrio del castello di Ferrara, ho ascoltato un incontro sulle nuove mafie. A fine giornata, in treno, mi è parso che dalla “politica non serve a niente” passando per “la povertà assoluta” fino all’analisi delle forme di associazione per delinquere, ci fosse un filo rosso, quello che definisce una frontiera del cambiamento.

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