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Decreto salva banche. Chi paga?

Come avevamo ampiamente previsto in un precedente articolo (qui) l’applicazione del c.d. decreto “salva banche”, ovvero il provvedimento con il quale sono state salvate dal fallimento 4 banche (Etruria, Marche, Chieti e Ferrara), ha comportato un vero e proprio terremoto tra azionisti e piccoli risparmiatori, i quali sono stati gli unici a pagare per la mala gestio operata negli anni dalla classe dirigente dei ridetti istituti.

Ciò che più ha stupito, a dir la verità, è stata la leggerezza con cui Banca d’Italia ha commentato il decreto salva banche, tenuto conto che, nel merito, assicurava che l’impatto sui correntisti non sarebbe stato rilevante, nel pieno rispetto del diritto degli stessi. Di contro, non c’è voluto molto che i clienti iniziassero a pubblicare on line gli estratti conto titoli, dimostrando le perdite subite.

Come già affermato in altre occasioni, infatti, una buon parte dei correntisti –che non avrebbero subito perdite– si confonde con gli investitori in azioni od obbligazioni subordinate; sono i correntisti-soci la vera anima di questa tipologia di Banche e ad essi andava fornita sicuramente maggiore attenzione.

Gli interessi, invece, come al solito hanno prevalso; l’Europa ha dettato le regole per il salvataggio e il governo le ha pedissequamente seguite, gli investitori sono stati ritenuti titolari di strumenti di rischio da cui attingere a piene mani prima di poter avviare l’operazione “salva banche” con la conseguente separazione della Banca veicolo dalla Bad Bank per la gestione delle sofferenze, con buona pace delle aspettative, delle speranze e della fiducia riposta dagli stessi nelle proprie Banche, ma ancor di più nelle persone che rappresentano tali Banche, ovvero gli addetti e i responsabili di filiale che quotidianamente ci “mettono la faccia” per collocare quei prodotti, poi rivelatisi carta straccia.

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Quanto si legge sulla stampa in questi giorni è desolante e l’unico intervento dei nostri rappresentanti politici è stato quello del vice ministro dell’economia Morando che ha spiegato come il margine di manovra per tutelare i risparmiatori sia, purtroppo, ridotto al minimo poiché “l’azzeramento del valore delle obbligazioni subordinate, come tali parte del capitale di rischio costituisce un vincolo non eludibile, imposto dalla Commissione Ue per approvare gli interventi del fondo di risoluzione. Il governo è tuttavia consapevole che, almeno a una parte dei risparmiatori coinvolti, la natura dello strumento obbligazione subordinata poteva non essere perfettamente nota“. Per questo, ha concluso il vice ministro, l’esecutivo “ha avviato un’approfondita verifica circa la possibilità che siano messe in atto misure in grado di ridurre gli effetti negativi del processo di risoluzione sulla componente socialmente più debole degli investitori coinvolti, che possa aver agito senza la necessaria consapevolezza del livello di rischio del prodotto acquistato“.

Ovviamente saranno parole che cadranno nel dimenticatoio e per i risparmiatori coinvolti resteranno due possibilità: avviare delle azioni singole o collettive contro gli istituti di credito sostenendo che i rischi poi realizzatisi non erano stati in alcun modo esplicati e, pertanto, la scelta dell’investimento era viziata dall’inconsapevolezza dello strumento finanziario sottoscritto, oppure ingoiare l’amaro boccone.

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