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Intelligenza artificiale: milioni di posti di lavoro a rischio

Al centro dell’ultimo meeting del World Economic Forum il rapporto sulla diffusione di robot ed intelligenza artificiale (AI): entro il 2020 i robot “ruberanno” 5 milioni di posti di lavoro.

E’ la quarta rivoluzione industriale*, destinata a cambiare radicalmente la società e l’economia mondiale con novità che avranno ripercussioni sì positive, ma soprattutto negative, sulla vita dei cittadini di tutto il mondo.

Ma per fortuna c’è chi, all’interno della comunità scientifica, invita a non sottovalutare l’evoluzione dell’intelligenza artificiale e tra questi vi è Bart Selman, professore di Computer science all’Università Cornell di Ithaca, nello stato di New York ed ha quantificato il rischio della perdita dei posti di lavoro in una percentuale non poco preoccupante: ben il 50% dei posti di lavoro nei prossimi 30 anni è messo a rischio dai progressi dell’ intelligenza artificiale .

Il professore ha firmato nel 2015, insieme ad altri ricercatori, una lettera aperta, rivolta ai governi di tutto il mondo (tra questi anche Stephen Hawking), con la quale chiede di valutare le opportunità, ma anche e soprattutto i rischi cui ci espone l’evoluzione e l’applicazione dell’ intelligenza artificiale.

E non bisogna andare molto lontano per vedere all’opera i risultati dell’applicazione dell’ intelligenza artificiale . Già nei magazzini di Amazon si possono osservare migliaia di robot tra gli scaffali, con una riduzione della forza lavoro umana del 90%.
In Cina esiste la prima fabbrica “deumanizzata”, dove gli operai di un’azienda di componenti per cellulari sono passati da 650 a 20, seguendo un programma industriale dal nome piuttosto chiaro e raccapricciante: “Robot replace human“.
Negli Usa invece troviamo il software Wordsmith Beta, il robot-giornalista, ideato per generare articoli in automatico oppure ancora Prospero, l’automa-contadino, dotato di sei zampe, che cammina lungo i campi e provvede alla semina.

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Non da ultimo in Cina stiamo assistendo alle problematiche (comuni a quelle europee) dell’aumento del costo del lavoro portando forti perdite alle fabbriche in termini di competitività (dopo che già avevano messo fuori mercato milioni di operai in Europa e Stati Uniti!).
Così ad esempio la Foxconn nel suo impianto di Kunshan ha introdotto i robot in catena di montaggio riducendo la forza lavoro da 110 mila a 50 mila addetti. I robot hanno soppresso 60 mila operai.
La preoccupazione è destinata ad aumentare se si pensa che ben altre 600 fabbriche del distretto cinese di Kunshan hanno piani di…ristrutturazione simili.
Persino i cuochi non avranno vita semplice: i robot (Chef Cui) progettati da Cui Runguan per tagliare, mettere in pentola e cuocere i noodles sono stati già venduti a 3 mila ristoranti locali eliminando completamente i cuochi umani. Il motivo è semplice: non solo taglierebbero gli spaghetti meglio di un umano, ma soprattutto costano solo 2 mila dollari, mentre un cuoco in carne e ossa in Cina può arrivare a costare fino a 4.700 dollari all’anno (!!!).

Insomma più desideriamo il prodotto low-cost, più portiamo avanti il rischio di totale sostituzione della forza lavoro, unico driver di costo cui le aziende guardano per la riduzione del prezzo finale al consumatore.

La domanda quindi è…Cui prodest?

*ricordiamo le prime tre: nel 1784 con la nascita della macchina a vapore e di conseguenza con lo sfruttamento della potenza di acqua e vapore per meccanizzare la produzione; nel 1870 con il via alla produzione di massa attraverso l’uso sempre più diffuso dell’elettricità, l’avvento del motore a scoppio e l’aumento dell’utilizzo del petrolio come nuova fonte energetica; nel 1970 con la nascita dell’informatica, dalla quale è scaturita l’era digitale destinata ad incrementare i livelli di automazione avvalendosi di sistemi elettronici e dell’IT (Information Technology).

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