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Brexit, una crepa nei diritti dei lavoratori europei

O dentro o fuori, questo il dilemma che gli inglesi dovranno sciogliere il 26 Giugno prossimo quando saranno chiamati a manifestare la loro volontà di rimanere o meno all’interno dell’Unione Europea.

Un anno fa, durante la campagna elettorale per il parlamento inglese, David Cameron, leader dei conservatori , per arrestare l’emorragia di consensi verso il partito antieuropeista e ultranazionalista di Nigel Farage (l’UKIP), promise che se avesse vinto avrebbe indetto un referendum sulla permanenza della Gran Bretagna in Europa. Da allora tra la Gran Bretagna e l’Unione Europea si sono svolti intensi negoziati per trovare un accordo che permettesse al Primo Ministro di Sua Maestà di far esprimere il suo popolo su una partnership con l’Europa più favorevole agli interessi del Regno Unito.

L’Europa è uno strano edificio politico. La sua costruzione è avvenuta attraverso uno stratificarsi di trattati economici e istituzionali a cui man mano hanno aderito i vari paesi membri. L’Inghilterra, ad esempio, pur facendo parte dell’Unione Europea non fa parte dell’ Unione Monetaria, perché non ne ha sottoscritto il trattato.

Gli stati possono uscire dall’Unione con una decisione unilaterale ma al suo interno per ottenere regole differenti dagli altri partner hanno bisogno del voto unanime di tutti i 28 paesi membri. Questo è ciò che è avvenuto venerdì scorso al vertice dei capi di stato a Bruxelles, quando Cameron ha chiesto e ottenuto alcune deroghe alle regole comunitarie per convincere il britannici a votare per la permanenza in Europa nel referendum da lui stesso indetto per uscirne. Un “gioco delle parti” che Pirandello non avrebbe saputo congegnare meglio.

I termini dell’accordo

Bloccheremo gli abusi dei lavoratori europei che sfruttano il nostro sistema di welfare“ sono le parole usate da Cameron per convincere il suo popolo che, alla luce dei nuovi accordi, la permanenza in Europa sarà molto meno gravosa per le loro tasche.

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La Gran Bretagna, che sente il proprio welfare aggredito da milioni di stranieri, ha chiesto inizialmente di poter chiudere le frontiere e controllare i flussi migratori anche dei cittadini europei. Ha invece ottenuto un cosiddetto “freno d’emergenza” che le permette fino al 2024 (fino al 2030 aveva chiesto Cameron) di limitare per i lavoratori comunitari l’accesso automatico ad alcuni benefici sociali (integrazione dei salari più bassi, assegni familiari, alloggi popolari). Il cui godimento pieno avverrà gradualmente nell’arco di 4 anni.

Inoltre Cameron ha ottenuto l’indicizzazione degli assegni familiari per gli europei che lavorano in Gran Bretagna ma i cui figli risiedono in patria. Per questi lavoratori gli assegni familiari avranno un importo uguale a quello che verrebbe erogato nel paese d’origine.

C’è anche una vittoria simbolica. In una futura riscrittura del Trattato sarà esplicitamente scritto che il concetto di “unione sempre più stretta”, su cui si fonda la costruzione europea sin dai Trattati di Roma del 1957, non si applicherà più alla Gran Bretagna. Mentre sul fronte finanziario, in omaggio al principio di “tutela degli stati membri fuori dall’eurozona”, nel testo finale dell’accordo è previsto un grado di autonomia per banche, assicurazioni e istituzioni finanziarie britanniche. “Tutela” che, nel timore di molti paesi, Francia in testa, di concedere a Londra ingiusti vantaggi è stata smorzata dal continuo richiamo a “rispettare le condizioni di parità nel mercato interno”.

Non sappiamo se la vicenda Brexit sarà la crepa che comprometterà la tenuta dell’Europa Unita ma è certo che rappresenta una delle conseguenze del forte sisma che ne sta scuotendo le fondamenta. La crisi economica e quella migratoria stanno mettendo in discussione due pilastri, forse gli unici, su cui le genti europee stavano iniziando a costruire la propria identità comune: la libera circolazione e la parità dei diritti. La chiusura delle frontiere interne per impedire che l’ondata di migranti possa accedere dalla periferia al cuore d’Europa e l’introduzione di elementi discriminatori come quelli contenuti nell’accordo siglato per evitare il Brexit non aiuteranno il percorso del già fragile “ideale europeo”.

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