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Elusione digitale ed evasione materiale

Nella lontana Corea del Sud, agli inizi degli anni duemila, è stato imposto un limite all’utilizzo del contante inferiore ai 50 dollari. Contestualmente è stato concesso ai titolari di carta, a fronte di scontrini e ricevute, uno sconto fiscale fino a un massimo di circa 4.000 dollari l’anno o del 20 per cento del reddito ed è stata ribassata del 2 per cento l’Iva ai commercianti che dimostravano di aver incassato tramite Pos. L’evasione, è stato calcolato da alcuni studi, si è ridotta così di 5 punti percentuali sul Pil. Fatta in Italia la stessa misura, avrebbe potuto portare 20 miliardi in più di gettito fiscale, una enormità.

Il Governo italiano sembra virare su un’altra strategia contro l’evasione: aumentare il tetto di utilizzo del contante (3.000 Euro) per far riprendere il commercio e la domanda interna. Nobile intento, peccato che con questa mossa si vuol dire, più o meno surrettiziamente, che i soldi si vogliono far spendere a chi probabilmente ha evaso il fisco.
Chi dice che nei paesi più avanzati tetti all’utilizzo del contante o non ci sono o sono molto più alti del nostro attuale ha ragione, ma finge di non sapere che in quei paesi non vi è un problema di evasione così radicato come in Italia.

Problema analogo che riguarda tutto il mondo avanzato, fra cui ovviamente c’è anche l’Italia, è quello di far pagare le giuste tasse ai giganti del web. Facebook, Amazon, Apple e Google, tanto per fare i nomi più noti, macinano ricavi in ogni dove ma le tasse le pagano in paesi come il Lussemburgo e l’Irlanda con regimi fiscali decisamente più vantaggiosi di quelli di USA, Italia, Germania, Francia e via dicendo. D’altra parte, le norme attualmente vigenti in questi paesi prevedono sostanzialmente che le multinazionali paghino le tasse dove hanno una “stabile organizzazione”. Peccato che la loro “stabile organizzazione” possa essere tranquillamente a migliaia di chilometri da dove si generano i principali profitti.

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Nell’era del web gli assiomi di questi regimi tributari sono oramai anacronistici. Il concetto di mercato di riferimento dovrebbe essere centrale nel determinare la quota parte di ricavi che andrebbero assoggettati a tassazione stato per stato. Minore importanza andrebbe invece data alla componente dei costi (che sono collegati, ovviamente, alla “stabile organizzazione”). Le tasse delle multinazionali, tanto per fare un banale esempio, andrebbero pagate più nei paesi dove ci sono persone che comprano la musica su I-tunes che nei paesi dove ci sono lavoratori deputati alla gestione dei server e delle applicazioni web. Si tratta di un problema etico ed economico che genera sperequazioni a livello mondiale ed a cui pare che neanche l’OCSE abbia trovato una soluzione efficace, almeno per ora.

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