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La falsificazione di un F24 è reato

Con la sentenza n.18488, emessa il 21/03/2016, la Cassazione è intervenuta in modo netto e inequivocabile in merito alla falsificazione di un F24, tema assai delicato e dibattuto. La Suprema Corte è stata chiamata a giudicare il ricorso proposto da un soggetto per cui il Tribunale di Taranto aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere.

Il ricorrente, in estrema sintesi, chiedeva un’attenuazione del reato poichè i modelli F24 di cui si contestava la falsificazione non erano quelli rilasciati dalla banca (nello specifico la terza copia che costituisce ricevuta per il cliente) ma semplici fotocopie, e sostenendo che la mera attestazione del versamento esaurisce la sua efficacia in ambito privatistico. Il materiale fautore dell’illecito, così come ci ricorda un approfondimento condotto da Renzo La Costa sul portale ANCL (leggi), era stato già condannato nei precedenti gradi di giudizio e ulteriormente presso la Cassazione. In merito alla fattispecie giuridica della falsificazione di un F24, la Suprema Corte si è espressa in questi termini: “Considerato che il modello F24 costituisce attestazione del pagamento, avvenuto alla presenza del dipendente della banca delegata, e del conseguente adempimento dell’obbligazione tributaria, con efficacia pienamente liberatoria, la falsità realizzata su tale documento integra il contestato reato di cui all’art. 476 c.p. Posto che la copia riservata all’ufficio tributario e quella rilasciata al contribuente costituiscono due parti sostanzialmente identiche del modello, e che il documento destinato al contribuente ha di per sè funzione di quietanza del pagamento con efficacia liberatoria, non vi è alcuna ragione per differenziare la qualificazione giuridica dei due atti, laddove entrambi documentano, con pari efficacia nei confronti dei terzi, il compimento di un’attività svolta in presenza del funzionario che vi appone le attestazioni, ossia l’avvenuto pagamento dell’imposta“.

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Secondo l’art.476 del Codice PenaleIl pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni“. Il ricorso, alla luce di queste considerazioni, è stato respinto, confermando l’orientamento giurisprudenziale in materia.

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