Vai al contenuto

Gli Stati dichiarano guerra alle multinazionali con il BEPS

Quante volte abbiamo letto che Google, Apple, Amazon e altri gruppi con sedi in tutto il mondo non pagano imposte?

Di fatti invece di far investimenti per ragioni economiche sappiamo che le aziende sono spesso tentate di fare investimenti solo per motivi fiscali portando ad un’allocazione inefficiente delle risorse.

Così, mentre le multinazionali possono cavarsela con un carico fiscale basso o pressoché nullo, la media dei lavoratori non ha alcuna possibilità di scelta, perché le loro imposte sono pagate persino prima di ricevere lo stipendio.

E mentre le grandi imprese possono sfruttare scappatoie fiscali e spostare i profitti a società controllate off-shore impiegando sofisticate pianificazione fiscali, le piccole e medie imprese non hanno altra scelta che “scontare” l’intero dazio.

Ma lo scenario sta per cambiare definitivamente.

I governi e le autorità fiscali di tutto il mondo sono preoccupati per l’erosione di base imponibile causata dalla presunta e continua assegnazione degli imponibili delle multinazionali in luoghi “diversi” da quelli in cui l’attività e la creazione di valore avviene effettivamente e all’aumento di transazioni che beneficiano della doppia “non” imposizione attraverso l’utilizzo di convenzioni fiscali bilaterali e delle relative leggi nazionali.

Uno degli esempi più rilevante è quello di Amazon, che per anni in Europa ha gestito tutta l’attività dalla sede nel Lussemburgo. Dallo scorso maggio, prevenendo le misure dell’Ocse, il gigante dell’ecommerce, ha aperto la stabile organizzazione in Italia, in Inghilterra, In Germania e Spagna.

Alla luce di quanto sopra, i paesi membri del G20 avevano commissionato all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) lo sviluppo di una politica fiscale che possa affrontare le “carenze” percepite nelle attuali norme fiscali internazionali.

Vedi anche  La reversibilità si trasforma in prestazione assistenziale: scardinato un diritto

L’OCSE ha avviato un massiccio programma negli ultimi due anni per sviluppare 15 piani d’azione nell’ambito della erosione fiscale sotto il nome di “Erosione della base imponibili e spostamento dei profitti” (BEPS), per eliminare le lacune normative nelle regole internazionali e nazionali che le grandi società sfruttano per far “sparire” i loro utili o per pagare al fisco cifre esigue limitatamente nei Paesi dove svolgono scarse attività.

Il programma di misure è stato rilasciato l’8 Ottobre durante l’incontro dei ministri delle finanze del G20 a Lima, Perù e successivamente verrà sottoposto all’incontro dei capi di Governo e di Stato dei Paesi membri del G20 che si terrà il 15 e il 16 novembre ad Antalya.

Durante l’incontro presieduto dal primo ministro turco Yilmaz, i ministri hanno espresso il loro supporto ed accordo sugli elementi chiave per l’implementazione delle misure previste dal BEPS.

Il programma offre ai governi delle misure che possano permettere di eliminare le differenze nelle regole internazionali che, allo stato attuale, permettono alle multinazionali di far sparire i profitti o spostarli forzosamente in paesi con bassa o nulla pressione fiscale, dove di fatto non svolgono però alcuna attività economica.

Le nuove regole, più stringenti, obbligheranno le multinazionali (digitali e non) a compilare dei report sull’attività svolta in ogni Paese: sarà così più difficile eludere il fisco.

Secondo i calcoli dell’Ocse, i sistemi di pianificazione aggressiva e “ottimizzazione” delle politiche fiscali delle multinazionali sottraggono cumulativamente tra i 100 e i 240 miliardi di dollari l’anno alle entrate fiscali dei Paesi, pari al 4-10 per cento delle imposte sui redditi di impresa.

L’impatto risulta anche più grave nei Paesi in via di sviluppo, data la loro dipendenza da questa fonte di gettito. Ma non è solo una questione economica: “è anche un problema di fiducia”, ha commentato il segretario generale dell’Ocse Angel Gurría, aggiungendo che “Queste pratiche stanno togliendo ai paesi fonti importanti per rilanciare la crescita e per gestire gli effetti della crisi globale. Ma stanno anche erodendo la fiducia dei cittadini sull’equità del sistema fiscale globale

Il piano Ocse-G20 poggia su tre pilastri: introdurre coerenza tra i sistemi fiscali nazionali in merito alle attività trans-frontaliere; rafforzare in maniera sostanziale gli standard internazionali e assicurare il principio che la tassazione avvenga nell’area dove è stata svolta l’attività, o creato valore economico. Terzo pilastro, si vuole migliorare la trasparenza, assieme alla certezza del diritto a favore di Stati e imprese.

Vedi anche  Debito pubblico: è l'Italia il paese più in salute

In generale i risultati del progetto permettono di coordinare meglio le regole del diritto fiscale internazionale e di colmare le lacune sfruttate finora dalle multinazionali per attuare una pianificazione fiscale aggressiva.

I nuovi standard minimi, che tutti gli Stati del G20 e gli Stati membri dell’OCSE si impegnano a osservare, riguardano la dichiarazione Paese per Paese («country-by-country report»), i criteri per l’imposizione di beni immateriali («IP box»), lo scambio spontaneo di informazioni su alcuni accordi preventivi concernenti un determinato regime fiscale per le imprese («ruling»), l’accesso alla procedura amichevole per la composizione delle controversie e l’introduzione di clausole contro gli abusi nelle convenzioni per evitare le doppie imposizioni (CDI).

L’OCSE istituirà dei sistemi di controllo per sorvegliare l’osservanza di tali requisiti minimi da parte degli Stati membri.

Le multinazionali avranno così sempre più bisogno di bilanciare le ambizioni di crescita con il potenziale rischio di reputazione stando al nuovo paesaggio fiscale che va delineandosi e dovranno presto individuare le aree di rischio per cominciare la bonifica e prepararsi all’aumento dei requisiti di trasparenza e di conformità.

Argomenti Correlati