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IRAP e professionisti, il parere della Fondazione Studi

È una questione continuamente dibattuta quella dell’assoggettamento dei professionisti all’IRAP, l’imposta regionale sulle attività produttive. Questa volta è la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro a intervenire sul tema con il parere n.6/2015, a seguito della sentenza n.24670 pronunciata dalla Cassazione lo scorso 3 dicembre. La Suprema Corte, in sintesi, ha accolto il ricorso di un professionista che aveva ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia dell’Entrate per l’IRAP non dichiarata negli anni 2004 e 2005.

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia aveva inizialmente rigettato il ricorso presentato dal contribuente, affermando che il sostenimento di costi elevati costituisce un elemento di fatto idoneo di per sé a fare presumere che il professionista disponga di un’autonoma organizzazione. Ricordiamo che, in base a quanto stabilito dalla sentenza n.156/2011 della Corte Costituzionale, per i soggetti esercenti arti o professioni il presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni, ovvero alla prestazione di servizi.

Per i Giudici della Cassazione, tuttavia, la presenza di elevati costi sostenuti dal professionista per disporre di beni strumentali non giustifica di per sé l’assoggettamento ad IRAP del lavoratore autonomo in quanto l’esistenza di un’autonoma organizzazione non va intesa in senso soggettivo, come organizzazione creata e gestita dal professionista senza vincoli di subordinazione, ma in senso oggettivo, come esistenza di un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, risultante dall’aggregazione di beni strumentali e/o di lavoro altrui.

La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro ritiene che la decisione della Suprema Corte sia apprezzabile se si tiene conto che la funzione economica dell’IRAP è quella di colpire una capacità produttiva “impersonale ed aggiuntiva” rispetto a quella propria del professionista (determinata dalla sua cultura e preparazione professionale) e, quindi, di colpire un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto, derivante dall’utilizzo di una struttura personale e materiale suscettibile di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale

Vedi anche  Jobs act: il datore di lavoro potrà controllare a distanza i lavoratori 

Il solo sostenimento di costi elevati per l’utilizzo di beni strumentali, pertanto, non può essere indice di autonoma organizzazione, ma occorre verificare se trattasi di beni strumentali che per qualità e quantità eccedono il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale anche senza autonoma organizzazione.

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