Uno spinello, ci sia consentito il gioco di parole, può mandare in fumo il posto di lavoro. A tal proposito la sentenza n.20543, emessa dalla Cassazione il 13 ottobre scorso, è destinata (come spesso accade) a far discutere a lungo. La Suprema Corte è stata chiamata a giudicare sul ricorso proposto da un lavoratore di Roma, che aveva impugnato il licenziamento per giusta causa comminatogli dal datore di lavoro per “aver visionato a lungo, in orario di lavoro, un PC portatile introdotto senza autorizzazione e avere fumato due sigarette preparate con sostanze stupefacenti“.
Secondo il datore di lavoro, la sanzione comminata era assolutamente proporzionata al comportamento addebitato al lavoratore, evidentemente in contrasto con i doveri di diligenza e fedeltà del dipendente connessi al suo inserimento nella struttura e nell’organizzazione aziendale. La Corte di Cassazione, sposando sostanzialmente le motivazioni dell’azienda, ha ritenuto del tutto infondato il ricorso. Nello specifico, il comportamento del lavoratore “pizzicato” a fumare uno spinello “è stato ritenuto idoneo a far venir meno irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro nella correttezza delle future prestazioni lavorative“.
In termini più semplici, la Suprema Corte di Cassazione ha sostenuto in modo netto e categorico non la gravità del comportamento in sè (fumare uno spinello) ma l’oggettivo venir meno della fiducia tra datore di lavoro e dipendente, che risulta compromessa in modo irreparabile pregiudicando la naturale prosecuzione del rapporto di lavoro. Praticamente impossibile, in questo contesto, ritenere illegittimo il licenziamento per giusta causa.