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Starbucks: i Frappuccini arrivano nel Belpaese

Tu vuè fa l’ammericano? Poltrone in pelle e frappuccini con quell’inconfondibile odore di muffin. Ecco che la più grande catena americana di caffetterie, Starbucks, potrebbe sbarcare in Italia nel 2016, a Milano. Questo almeno il disegno, in attesa dell’accordo che dovrebbe concretizzarsi entro Natale. Lo riferisce il Corriere della Sera, per cui dovrebbe trattarsi della volta buona, dopo che da anni se ne parla. Sono circa vent’ anni infatti che Howard Schultz, fondatore e guida del famoso marchio che fattura circa 9 miliardi di dollari, cerca di capire come essere attrattivo in Italia, patria del caffè.

Strano a dirsi, considerano che la sua vincente idea fu partorita proprio nel Belpaese fonte di ispirazione con i suoi caffè letterari. In America furono doverosi alcuni aggiustamenti sulla lunghezza del caffè e la miscelazione con il latte. Ma il gioco fu subito fatto, tutto addolcito da una buona dose di tecnologia. Bicchieroni, wi-fi e dolci profumati.

Per l’Italia a capo dell’operazione Starbucks c’è Antonio Percassi, 62 anni, della provincia di Bergamo, ex calciatore del Cesena e dell’Atalanta di Bergamo, di cui ora è proprietario, magnate dei centri commerciali che dovrebbe svolgere il ruolo di “franchising partner”. Per attecchire nel Paese che ha fatto dell’espresso una bevanda di tradizione, l’imprenditore bergamasco e l’uomo d’affari della West Coast hanno valutato una formula originale: hi-tech e offerta digitale, in location posizionate nel centro città, quello degli affari, dove si incontrano avvocati, imprenditori e professionisti che hanno bisogno di parlarsi in modo riservato e, soprattutto, necessitano di una buona connessione wi-fi.

Come ogni esperimento americano in Italia restano molti punti interrogativi. In primis quello sulle città, quelle “pronte” e quelle no, quelle aperte alle americanate e quelle meno. In materia di cibo e beverage poi, il Belpaese si mostra sempre molto diffidente alla globalizzazione. Come dargli torto.

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Pur insistendo su un altro settore merceologico il colosso dell’arredamento low cost svedese, Ikea, ha dovuto far fatica soprattutto nel Sud Italia ad entrare nelle teste e nei cuori del pubblico esigente. E in alcuni casi neanche ci è riuscito con disinvoltura. Vedi la sede di Bari, sovradimensionata rispetto alla domanda.
Le aperture di grandi catene straniere in Italia – e i guru di Starbucks lo sanno – necessitano sempre di studi di contesto e verticalizzazioni sui territori, senza mai darne per scontato il successo. L’Italia ha – forse più di altri Paesi – forti caratterizzazioni territoriali, attaccamento alle tradizioni, storie di artigianato e mestieri, che spesso sfuggono agli studi di marketing che precedono operazioni di questo tipo. E qualcuno fa una brutta fine. Come quel Mc Donald’s che aprì ad Altamura e un Big Mac fu sconfitto inesorabilmente da una focaccia.

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