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TFR in busta paga, conviene davvero?

La Legge n. 190 del 23 dicembre 2014 (Legge di Stabilità per l’anno 2015) ha introdotto una novità di notevole rilievo nel per quanto concerne il rapporto di lavoro subordinato. Si tratta della facoltà per il lavoratore dipendente di percepire, contestualmente alla retribuzione mensile, la “quota maturanda” del Trattamento di Fine Rapporto (Quir) di cui all’art. 2120 del codice civile.

Questa possibilità, che partirà in via sperimentale nel periodo dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018 per i lavoratori subordinati del comparto privato (eccetto domestici e agricoli), rappresenta una significativa deroga al principio di carattere generale per cui il diritto al TFR matura esclusivamente al momento della cessazione del rapporto di lavoro. L’eventuale manifestazione di volontà del lavoratore sarà irrevocabile fino al termine di periodo di sperimentazione e la domanda di opzione potrà essere accolta solo nel caso in cui il lavoratore abbia maturato almeno 6 mesi di attività lavorativa presso il datore di lavoro tenuto alla corresponsione del TFR. È opportuno precisare che, per conoscere tutti i termini applicativi della norma, si dovrà attendere l’imminente decreto ministeriale.

Ma converrà davvero avvalersi di questa facoltà? Il dibattito è ovviamente apertissimo, ma prevalgono le posizioni negative. Molto scettici i Consulenti del Lavoro, che evidenziano una forte criticità dal punto di vista fiscale e previdenziale. Per la Presidente Nazionale dell’Ordine, Marina Calderone, “il TFR in busta paga è un’operazione conveniente per lo Stato, che in questo modo incasserà più imposte. Se si è attratti dalla possibilità di monetizzare la liquidazione, non bisogna sottovalutare l’investimento nei fondi pensione che può essere una scelta ancora più conveniente di quella di lasciare il TFR in azienda“. Per Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi, “il TFR in busta paga rappresenta un’iniezione di denaro immediata che rischia di condannare le generazioni di futuri pensionati a una grama esistenza“.

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Fiscalmente, questa opzione sarà conveniente solo per i lavoratori con un reddito fino a 15.000 euro. I redditi superiori a questa soglia, infatti subiranno un aggravio con il conseguente aumento di tasse che, per chi supera i 90.000 euro annui, arriverà fino a 570 euro l’anno, come potete osservare in questa tabella.
Grandi dubbi anche dal punto di vista previdenziale. È evidente che il lavoratore in difficoltà economiche oggettive potrebbe cedere alla tentazione di farsi corrispondere mensilmente il TFR per soddisfare i bisogni correnti, con il rischio di pentirsene amaramente in futuro se dovesse malauguratamente perdere il posto di lavoro. Senza trascurare il forte impatto negativo sulla capacità della previdenza complementare di integrare il deficitario sistema pensionistico pubblico.

In conclusione, a poche settimane dall’entrata in vigore ci sono troppe perplessità che aleggiano sull’introduzione di questa norma. L’auspicio è che i lavoratori vengano adeguatamente informati prima di compiere scelte che potrebbero rivelarsi affrettate o addirittura dannose in ottica futura. Perchè questa proposta non porterà ad un aumento delle retribuzioni, ma solo ad un anticipo di indennità future. Un po’ come, per fare un esempio banale ma efficace, una coperta troppo corta: si prende liquidità da un lato, ma la si toglie dall’altro. Lavoratore avvisato…

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