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Trasformazione Banche Popolari in SPA: il Tar si esprime

Il discusso D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33 ha mutato definitivamente il governo societario delle Banche Popolari con attivi, a livello consolidato, superiori agli 8 miliardi di euro.
Le modalità scelte dall’esecutivo per dare alla luce tale provvedimento, ovvero l’utilizzo del Decreto Legge e la successiva apposizione della fiducia in fase di conversione, sottendono probabilmente a motivazioni che vanno al di là delle intenzioni dichiarate dal Governo.

Di talché, le Associazioni dei Consumatori, quali Adusbef, Federconsumatori, ne hanno chiesto l’annullamento, presentando ricorso contro la Banca d’Italia, il ministero dell’Economia e la Presidenza del Consiglio dei Ministri dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale (Tar) del Lazio.
In particolare, le Associazioni dei Consumatori hanno proposto istanza di rimessione alla Corte Costituzionale per violazione di legge, norme in contrasto con i principi della Costituzione e perfino con le disposizioni del diritto comunitario.

Alcuni singoli azionisti della Banca Popolare di Milano (BPM), invece, hanno formulato un ricorso più tecnico, riferito alla richiesta di annullamento, previa sospensione dell’efficacia, del 9° agg. della circolare Banca d’Italia 285/2013, nella parte in cui vieta la costituzione di una holding controllata da soci in forma cooperativa che detenga la maggioranza in banche Spa.

Nel merito di quest’ultimo ricorso, il TAR ha, dunque, rigettato la richiesta di sospensiva, ritenendo non sussistente il caso di “estrema gravità e urgenza”, atteso che tale requisito non fosse integrato dalla imminente celebrazione dell’assemblea di una delle Banche Popolari interessate alla riforma (UBI).
Alla luce di tale decisione, le Associazioni dei Consumatori, sopra richiamate, hanno a loro volta rinunciato al provvedimento di sospensiva.

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A tal proposito, il 10 febbraio il TAR dovrà decidere, nel merito, se inviare gli atti alla Consulta. Il dubbio di costituzionalità, secondo i ricorrenti, si basa sull’adozione da parte del governo dello strumento del decreto legge in mancanza dei presupposti di necessità e urgenza.

Nelle more dell’adozione dei provvedimenti richiesti al Tribunale Amministrativo, si è dunque tenuta l’Assemblea indetta da UBI, la prima Banca a rimettere ai propri soci la votazione per la trasformazione in SPA.
Il responso dell’Assemblea, tenutasi in data 10 ottobre, sembra andare nella direzione opposta rispetto a chi ha presentato ricorso. I Soci della prima “popolare” a doversi esprimere rispetto alle modifiche societarie, infatti, hanno approvato quasi all’unanimità tale operazione, dimostrando così la volontà di abbandonare definitivamente il “voto capitario”.

È ancora presto per capire appieno la portata di questo storico provvedimento, ma si sono già create diverse fazioni, tra economisti e politici, sulla bontà o meno dello stesso, sino a derive estremamente critiche, per le quali sarebbe a rischio addirittura la democrazia economica (Giovanni Ferri, Leonardo Becchetti – Manifesto in favore delle Banche Popolari).

Ad una analisi lucida, è da rilevare che le Banche Popolari contano il 40% dei depositi bancari e del nostro tessuto creditizio, un sistema finora esente da scalate finanziarie e speculazioni perché protetto da leggi e sistemi di voto capitario scevro dalle logiche dei pacchetti azionari.

Pertanto, è possibile che diventino contendibili e potenzialmente controllabili da un numero esiguo di investitori (o forse sarebbe meglio parlare di fondi speculativi) che abbiano le capacità economiche per appropriarsi di una quota significativa del capitale, seppure siano state previste norme “antiscalata”.

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D’altro canto, la ratio del provvedimento in esame risponde ad una preoccupazione, legittima e rilevante, espressa con chiarezza dai regolatori italiani: di fronte al rischio di improvviso deterioramento dei loro bilanci, gli intermediari bancari devono essere in grado di reperire rapidamente capitali freschi per evitare che i coefficienti di patrimonializzazione usati per valutare l’affidabilità di una banca finiscano sotto i livelli di soglia.

La regola del voto capitario (una persona un voto) sarebbe a questo proposito d’impaccio perché rende quest’operazione più difficile. E il motivo è che la propensione ad acquisire quote di capitale di una società dipenderebbe dalla possibilità di controllo della stessa. Le banche a voto capitario come le popolari sarebbero scarsamente contendibili proprio a causa della tipologia di voto che elimina la proporzionalità tra entità dell’impegno di un soggetto nella capitalizzazione della banca e quota di voti posseduta.

Quest’impostazione, però, trascura il fatto che i maggiori rischi di crisi finanziaria negli ultimi decenni nascono da banche spa e non da banche a voto capitario. E non a causa dell’aumento repentino dei prestiti deteriorati ma per perdite in conto capitale legate al portafoglio derivati.

Il vero confronto, per il management delle Popolari, sarà dunque quello di conciliare la nuova veste di SPA aperta al mercato, con le esigenze territoriali di sostegno all’economia reale.
Affrontare consapevolmente tale sfida non potrà che stimolare ed introdurre una filosofia di continuo rinnovamento in luoghi stabilizzatisi da tempo, con auspicabile miglioramento della dinamicità del sistema.

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