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Quanto risparmieremo con l’abolizione della Tasi?

Con l’abolizione della Tasi si andrà ad interrompere il trend che ha visto lo spostamento del carico fiscale verso il patrimonio. Secondo la CGIA di Mestre l’anno scorso le imposte patrimoniali sono costate agli italiani la cifra record di 48,6 miliardi di euro. Negli ultimi 25 anni, la loro incidenza sul Pil è raddoppiata, mentre in termini assoluti il gettito è aumentato di quasi 5 volte. Dal 2016, se il governo confermerà l’abolizione delle tasse che gravano sulla prima casa, dell’Imu agricola e quella sugli imbullonati, dovremmo risparmiare 4,6 miliardi di euro: vale a dire uno sconto che sfiora il 10 per cento”.

Le famiglie che potrebbero beneficiare dall’abolizione della tassazione sulla prima casa sono quasi 19 milioni. Per i possessori delle abitazioni di categoria A2 il “taglio” sarà di circa 227 euro all’anno, per quelle A3 di 120 euro, mentre i possessori di una abitazione di tipo signorile o di una villa beneficeranno di un “regalo” attorno ai 1.830 euro. I proprietari di castelli, infine, potranno godere di un risparmio che dovrebbe sfiorare i 2.280 euro.

Ecco perché Nens, l’associazione «Nuova economia nuova società» chiede di abolire le imposte dall’abitazione principale, ma solo per le case di valore più basso (più o meno un’abitazione su tre), e utilizzare le risorse per abbassare la pressione fiscale sul mercato degli immobili, con un addio alle imposte sugli affitti e un drastico abbassamento di quelle sulle transazioni (registro e ipo-catastali): a completare il tutto una patrimoniale statale, concentrata sui portafogli immobiliari più pesanti, posseduti da circa il 10% dei contribuenti, e ad alto tasso di progressività. I 3 capisaldi della proposta per una tassazione degli immobili più equa sono i seguenti:

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1)Il concetto di «abitazione principale»: nella “prima casa” si può anche non abitare, perché non è giusto escludere dal trattamento chi per esempio è costretto ad abitare in affitto altrove per ragioni di lavoro

2)La penalizzazione per le seconde case, oggi colpite da aliquote standard quasi doppie rispetto all’abitazione principale e ulteriormente alzate dai Comuni più attenti all’abitazione principale per ragioni di consenso

3)Il valore catastale, da sostituire con i valori di mercato misurati dall’Omi e “corretti” con uno sconto del 10% per ragioni prudenziali e soprattutto calcolati al netto della quota coperta da mutuo.

Quest’ultima mossa porterebbe una prima forte redistribuzione “orizzontale”, spostando la pressione fiscale dalle case oggi penalizzate dal Catasto (in genere sono quelle più nuove, in periferia, o situate in zone dal mercato fiacco) a quelle favorite dalle rendite ufficiali, a partire dagli immobili meno recenti, spesso nelle zone migliori delle città occupate dalle famiglie a reddito più alto.

Per quanto riguarda le aliquote sulla prima casa lo standard sarebbe dello 0,25% (e quella massima dello 0,5%) con una detrazione pari dallo 0,13% dell’imponibile, all’interno di un range fra 80 e 240 euro. La determinazione dell’imposta dipenderebbe dall’incrocio di aliquote, valori di mercato e mutuo, ma secondo le stime Nens un terzo delle abitazioni non pagherebbe nulla. Sulle case diverse dalla prima l’aliquota è praticamente uguale, 0,26% (con tetto allo 0,6%), e di fatto si applicherebbe anche agli immobili strumentali delle imprese: il parametro in questo caso salirebbe allo 0,3%, ma la deducibilità integrale dalle imposte sui redditi porterebbe la richiesta allo stesso livello previsto per le seconde case.

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